Tre ricercatori italiani spiegano sul Journal of Neuroimmune Pharmacology (JNIP) la tesi scientificamente validata secondo cui i “vaccini COVID-19” siano farmaci piuttosto che “vaccini tradizionali”
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La Lettera indirizzata al JNIP e arricchita di referenze bibliografiche, di Marco Cosentino, Marco Ferrari e Franca Marino espone l’evidenza che i tre ricercatori ravvedono nei vaccini COVID-19 confermata da gran parte del mondo scientifico: Pfizer, Moderna, Astrazeneca, J&J ma anche Sputnik non sono vaccini convenzionali, bensì prodotti medicinali con un principio attivo e degli eccipienti, e probabilmente con effetti che dipendono dalla dose e dalla reattività individuale. “La maggior parte dei paesi occidentali, tra cui USA, UE e Regno Unito, stanno costruendo le loro campagne di vaccinazione di massa contro COVID-19 su prodotti derivati da biotecnologie innovative, per RNA messaggero (Pfizer/BioNTech e Moderna) e consegna di DNA attraverso vettori di adenovirus (Oxford/AstraZeneca e Johnson & Johnson). Quest’ultimo è condiviso dalla Federazione Russa come vaccino Sputnik V (Jeyanathan et al. 2020 ). All’inizio della pandemia di coronavirus-2 (SARS CoV-2)… solo due vaccini basati su vettori virali contro il virus Ebola (tuttavia senza vettori di adenovirus) sono stati autorizzati per uso umano (Suschak e Schmaljohn 2019)”. Ma come aggiungono i ricercatori “di fronte all’emergenza sanitaria da pandemia COVID-19, la diffusa percezione pubblica” di questi prodotti impropriamente definiti “vaccini” è che tali “vaccini in fase di sviluppo riflettessero ciò che era già disponibile per il tetano, la difterite, la poliomielite, il morbillo, la parotite o la rosolia tra altri. Tuttavia, gli attuali vaccini COVID-19…” sarebbero da considerare “farmaci” o “prodotti farmaceutici” piuttosto che “vaccini convenzionali (che) sono preparati contenenti forme indebolite o uccise del microrganismo, alcuni dei suoi determinanti antigenici chiave o una forma inattivata di tossina… (che) incontrano il sistema immunitario dell’ospite nel sito di iniezione, determinando infine la stimolazione di una risposta immunitaria e, a sua volta, di una memoria immunologica. I vaccini COVID-19 si basano esattamente sulla consegna di RNA messaggero o DNA preparata mediante consegna vettoriale. Contengono RNA o DNA della proteina SARS-CoV-2 S attiva racchiusa in eccipienti (lipidi, sali e saccarosio per i vaccini a RNA, un adenovirus per i vaccini a DNA). I principi attivi non sono in grado di influenzare direttamente il sistema immunitario, a meno che non subiscano la traduzione nella proteina SARS-CoV-2 S da parte delle cellule in cui penetrano attraverso l’elaborazione ribosomiale….È stato recentemente suggerito che la proteina SARS-CoV-2 S prodotta e rilasciata dalle cellule ospiti precedentemente bersaglio dei vaccini può interagire con il suo recettore ACE2 espresso su altre cellule, innescare infiammazione, trombosi e altre reazioni avverse, imitando infine la patologia della malattia (Angeli et al. 2021 )” Nell’articolo, dunque, i ricercatori evidenziano l’inappropriatezza dell’uso della parola “vaccino” nella sua accezione comune per tali costrutti farmaceutici che – come ammesso del resto dalle stesse case farmaceutiche – a differenza dei vaccini tradizionali non prevengono il contagio, ma consentirebbero ai vaccinati solo di contrarre una forma più lieve della malattia.